lunedì 8 agosto 2016

Sulla conoscenza che salva

Le cose stanno in questo modo: pur preferendo un generico atteggiamento razionale a quello religioso, tempo fa ho perso la fede pure nella ragione, o meglio, ho perso la fede nel progresso guidato dai lumi, in quell'idea della ragione come logos di cui ciascuno è portatore ma che in alcuni giace sepolto sotto cumuli di ignoranza e superstizione che basta sgomberare con gli appositi strumenti, magari forniti da un buon corso di studi. Ora, secondo questa credenza, diffusa soprattutto in occidente, per guarire i mali del mondo basterebbe diffondere a più non posso la conoscenza, la quale, come un medicamento miracoloso, rischiara gli animi e li guarisce dall'ignoranza (idea talmente debitrice del pensiero religioso che ne costituisce una sua proiezione), mentre in natura, si sa, è più che possibile il caso di idioti molto razionali nella loro perfetta idiozia. La ragione, in altre parole, uno non se la può dare, non è come allenare un muscolo, bisogna avere la struttura già predisposta, altrimenti gira a vuoto ("la conoscenza che salva" è un storiella che ci raccontiamo per allontanare il sospetto di essere i cretini che siamo).

1 commento:

  1. Condivido il tuo percorso, ho conosciuto fior di laureati e dottorati che non hanno alcuna dimestichezza con il pensiero razionale.
    Altro elemento a favore della tesi è la grande disillusione della conoscenza veicolata da internet. Una quindicina di anni fa si dava quasi per scontato che grazie a internet l'accesso alla conoscenza sarebbe stato gratuito e disponibile per tutti e questo avrebbe portato grandissimi benefici in ogni campo. In effetti adesso la conoscenza è alla portata di tutti, peccato che la cosa interessi a una frazione infinitesima della popolazione, mentre la maggior parte sia impegnata a diffondere le fotografie del proprio ombelico.

    Bisogna riconoscere che l'uomo è un'opera incompiuta.

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