mercoledì 4 maggio 2016

L'inossidabile questione morale

Ho già dato, oramai mi annoia la ritualità dell'invettiva contro la politica. Distrattamente annoti che ne hanno pizzicato un altro e non ti prendi nemmeno la briga di capire il perché e il percome, perlopiù non sai nemmeno che cos'è una turbativa d'asta e dovresti seguire l'inchiesta, sorbirti il processo, ma quella è roba per pochissimi appassionati che nemmeno i campionati di curling, e allora emetti la tua sentenza, tanto che ti domandi a che serve mai la complessa macchina della giustizia se è così semplice passare in giudicato: han detto che è colpevole, lo dice pure Salvini, la cosa mi pare evidente. Poi c'è la questione delle questioni, lo cunto de li cunti, cioè la questione morale, questa suggestione che periodicamente attraversa come una scarica elettrica il corpo della società civile (te la raccomando la società civile), che l'unica soluzione che ci è rimasta è quella di diffondere il verbo dell'onestà, fare opera di convincimento, come se fosse possibile un'ipotetica egemonia culturale della virtù sul vizio. Risibile. La virtù non si regge sulla bontà d'animo, tutt'al più sull'interesse, se c'è un interesse diffuso in un certo comportamento sociale vedrete che prima o poi cominceranno a magnificarlo come una virtù. Eppure c'è chi è convinto che la virtù possa conquistare con la sola forza del suo esempio, come il tifoso che pensasse di convertire l'avversario alla sua fede magnificando le qualità della sua squadra, e che c'entra? Ognuno tiene per la sua. Insomma, se vuoi redimere veramente l'umanità dal vizio devi convincerla prima che è per il suo interesse, inutile affidarsi al solo senso di colpa, troppo facile metterlo a tacere.

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