lunedì 20 aprile 2015

Del presentismo ontologico

Ho avuto la rivelazione, come Nietzsche a Sils Maria. Fortuna che sono una specie di hikikomori, che se non fosse per il lavoro me ne starei rintanato tutto il giorno in casa, e così alla sera ho tutto il tempo di battere certi sentieri (e qui non fate battute) che rimarrebbero altrimenti inesplorati. Intendiamoci, niente di nuovo o di eclatante o che si possa solo lontanamente paragonare all'eterno ritorno dell'eguale (ci mancherebbe, fra l'altro l'avrà capito solo lui), diciamo solo che ora mi è chiarissimo come la vita venga vissuta esclusivamente entro l'orizzonte temporale di un eterno presente all'interno del quale si svolge tutta la commedia, che del passato non abbiamo testimonianza se non nel presente e che il futuro è possibile solo in presenza di un presente. Niente di mistico, a suo tempo ne ha parlato anche IlSole24ore. D'altronde è da matti pensare che il passato abbia avuto e continui ad avere una sua consistenza inafferrabile e che continuamente ricada nel nulla, istante dopo istante, così com'è da matti pensare che il futuro si crei sul momento, miracolo dopo miracolo, epifania che non conosce requie (è molto cristiana questa freccia del tempo all'interno della quale saremmo tutti "scoccati"): tutto si svolge nel presente, dimensione atemporale entro la quale scorre l'intero universo. E d'altronde che cos'è per la fisica il passato - come del resto il presente e certamente anche il futuro - se non una particolare configurazione di tutte le particelle che lo compongono? Esistono le configurazioni, il tempo è dimensione puramente convenzionale, e questo lo sanno bene anche i fisici: una volta che con Eintstein è saltata la simultaneità, i buoi sono scappati, inutile chiudere la stalla. (prendo solo mezza pastiglia per la pressione alla mattina, non faccio uso di droghe e bevo poco perché l'alcol mi fa venire sonno).

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